giovedì 20 settembre 2012

Croazia, i dodici tramonti di Pola


Il mare di Pola
Apri il pc e ti volti: il cielo si sta esibendo in un nuovo numero artistico. Il tramonto è di quelli da fermare subito. Click. Intanto inizi a scaricare dalla digitale gli istanti che hai scelto nell’ultimo viaggio. Colleghi il cavo della fotocamera e torni indietro sfogliando i ricordi. Cammini, sono le sei del mattino, Pola sonnecchiando riprende il ritmo. Hai accompagnato una persona molto importante per te alla stazione dei bus. Mentre vedevi il pullman andarsene, hai iniziato a sentire un brivido di solitudine e libertà. Hai deciso: prima di tornare all'alloggio, ti saresti fatto trasportare dal flusso degli eventi. Le città, in base all’ora in cui vengono vissute, mutano. La luce dell’alba, sfumata di pesca, dà una morbidezza nuova agli edifici intorno. Dopo un cappuccino per buttar giù degli zuccheri e stare sveglio, muovi i primi passi fuori dalla stazione. Lo stupore nasce subito, lì vicino. Le pietre dell’arena romana sono rosa. Ieri, quando l’avevi visitata alle tre del pomeriggio, rifletteva una luce aggressiva che mandava in confusione. Ora l’arena è qui, mansueta, nel suo ovale perfetto, a mettersi in mostra vezzosa nonostante gli anni, a farsi fotografare. Sei sulla parte alta del pendio e di là, oltre gli archi, si vede il mare di un blu-verde misterioso. Prendi qualche respiro di iodio che va giù nei polmoni tesi. L'aria, con quel sapore, è la stessa che i gladiatori respiravano pensando all’esibizione della sera, che poteva essere un trionfo o l’ultima.

Anfiteatro romano sul lungomare di Pola
Dopo alcune foto appoggiando la macchina al parapetto, allo iodio si sostituisce un aroma di pane e brioches calde, appena sfornate. Sembri ipnotizzato da quel profumo, come un serpente che resta legato al flauto dell’incantatore, e lo segui senza opposizione. La sensazione di disagio che si era concentrata in pancia alla stazione si sta diradando. Da alcuni giorni cercavi la chiave per entrare nello spirito della città croata. Ora che l'hai presa alla sprovvista, lei ti sta mostrando una parte nuova, come accade alle persone. Annoti sul taccuino queste parole, forse l’inizio di una poesia: «Ogni luogo, ogni persona, ogni incontro o silenzio nascondono una porta che dà direttamente su dio». La parola Dio l’avevi scritta con la lettera maiuscola, ma c’è qualcosa che non va. La correggi subito in minuscola. Perché il dio che immagini tu, in quel momento, non è certo un anziano barbuto che ci guarda da una nuvola per punirci. No! Quel dio che senti è intorno, dentro di te, è amico, è dolce, è famiglia, radici, sorpresa, comprensione e dolcezza, è donna probabilmente, mamma: tutte cose che con la lettera maiuscola sembrano non andare d'accordo. Sul pc appare la foto della chiesa bianca, dietro l’arena, che hai raggiunto subito dopo, seguendo il serpentone d'aroma. Ti fermi lì un attimo, ti avvicini alla porta dell'edificio. Una donna all’interno prega guardando in alto, immobile: sarà qui da ore. Una suora, sull’altare, si muove laboriosa e mette a posto il necessario per la prima messa di giornata. In quello spazio, tra dentro e fuori, ti senti disorientato. Guardi all’interno. Pensi: dio dov’è? Lì dentro o qui fuori nel mondo? La stasi dura poco: saluti Gesù con l’occhiolino ed esci. Nelle viuzze di Pola, superato l’arco romano di Ercole, ti imbatti in persone che sono interessanti, eccentriche o solo normali: tutte porte di comprensione sulla bellezza della vita che ti fluisce intorno.

Ecco la foto della panettiera. Lei, con mani pazienti, con unghie turchesi, aveva impastato quella delizia di pane che diffonde profumo e calore. Sempre con quelle mani, mentre le rubo un’immagine, sta picchiettando sul telefono, sembra presissima. Alle sei del mattino a chi starà scrivendo? A chi starà pensando? Mi nota, mi segue per un momento con lo sguardo. Ma sono già via, sento un vociare confuso che viene di là. Hai l’arco romano dei Sergii sulla destra, poco oltre vedi un James Joyce di bronzo seduto al tavolino del caffè che spesso frequentava a Pola, nei suoi anni di insegnamento. Segui il rumore e decidi di andare a sinistra, lungo la via principale dei negozi, che stanno aprendo uno dopo l’altro. Incroci lo sguardo di una donna molto truccata, perfetta nel vestiario, con gambe lunghe e un’espressione rigida, lontana. Ne percepisci la maschera, la perfetta fragilità. Ti sbarazzi dopo un po' dei pensieri circolari che ti tengono ancorato a lei e di fianco spunta un uomo che vaga, molto più di te. Tu hai deciso di girare in quest’alba croata, lui va e basta, nello spazio, nel tempo, nella vita. Tiene una bottiglia di vino in mano, come un amuleto. E si dirige alla fontanella: si abbassa, si lava e con la destra non molla il suo scettro vuoto.

La statua di James Joyce nel centro della città
Finalmente ci sei, o ti ci sei trovato, è meglio dire: il mercato di Pola, alla fine della via, sta prendendo vita. Sembra di entrare in un mondo a parte. I mercanti hanno la loro ritualità nel disporre frutta, verdura, prodotti vari. C’è durezza e gioia, nei loro volti, c’è un po’ di Croazia qui, tra i banchi che mi scorrono a fianco. Le pesche che compro, tonde, sode, sfumate gialloarancio, sono un dono prezioso. Le banane schizzano agli occhi con il loro giallo accattivante e i bomboloni sono stati appena sfornati vicino quel banchetto giù di là. «How much are these?» chiedo alla ragazza che ha lo sguardo vispo già a quell'ora. «Seven Kuna each». Ne prendo tre: due alla marmellata di rosa canina, tipica della Croazia, e uno al cioccolato. Mi allontano, girandomi ogni tanto, fiero del mio tesoro in busta, assaporando le emozioni di un presente intenso: ognuna di esse è un numero in più della combinazione per aprire la porta, quella porta. Le tengo strette al cuore.

Tramonto dalla penisola di Verudela, Pola
Operazione completata. Tutte le foto sono scaricate sul pc. I file nella cartella si stanno aprendo, uno dopo l’altro, in piccolo. Così posso muovermi con la memoria avanti e indietro, a caso. Scelgo un tramonto: uno dei dodici che ho fotografato a Pola. Ogni giorno mi sedevo sul balcone attendendo. E ogni giorno fermavo la meraviglia sui pixel della fotocamera. Chiudevo il cielo, la sua essenza d'infinito, nello spazio di cinque centimetri per cinque dello schermo sul retro. Questa è forse la più bella delle dodici. Il sole scarlatto e arancio è per metà dietro la linea creata dal mare. Sono di nuovo là, seduto sul mio scoglio a forma di sedia. Attendo il silenzio che arriva portato dal ritmo ciclico delle onde nere. E nel silenzio intuisco che quel sole è la mia porta, personalissima, una delle tante che il viaggiatore incontra sul cammino: la porta sul segreto della vita. Mentre chiudo il pc, stacco i cavi, metto la digitale nella custodia, sento che il viaggio, ancora una volta, non mi ha migliorato né peggiorato. È stato solo un grande maestro: di quelli che permettono all’allievo, senza interferire, di tirar fuori le proprie emozioni e qualità per generare senso. Un senso più grande. 
  
Fabio Castano
castano.fabio@libero.it

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