mercoledì 30 gennaio 2013

Sogni in viaggio, destinazione Milano

La testimonianza di un giovane altamurano

di Donato Grassi

Duomo di Milano
Distinguere la passione dall’arte non è semplice, ma, ogni volta che guardavo quell’immenso monumento, pensavo che qualcosa di bello, di affascinante, si culla nella nostra Italia. Prima o poi sarei andato a vederlo dal vivo! La parola «Milano» mi faceva venire sempre in mente il Duomo. Avevo sei anni quando sono andato nella città lombarda con i miei genitori, ma i ricordi appaiono troppo teneri e spezzettati per poter assaporare quella grandezza unica. Promisi di tornare, un giorno... ma, forse, non ci ho mai creduto fino in fondo. Alla fine il destino ha deciso per me. Dovevo assolutamente visitare la Milano che tanto mi tormentava.

Milano, stazione centrale
Trovai, così, un aiuto importante per realizzare il più grande sogno della mia vita. In ambito lavorativo. Mi portava proprio a Milano. Occasione irripetibile. Fissai la data di partenza e, con una paura tanto grande quanto il desiderio di vittoria, pensavo al viaggio verso la grande città. Notte dopo notte.





                       Arrivò l'ora fatidica. Il biglietto aereo tra le mie mani, così come l'emozione. Il Duomo era lontano, ma lo sentivo vicino. Prima volta in aria, percorso e tempo «volati». In aeroporto mi aspettava mio zio, a cui rivelai subito il desiderio che avevo. Pomeriggio. Mi fu consigliato di riposare per il colloquio lavorativo del giorno seguente, poi avrei avuto modo di visitare la città.


La sera passò in un batter d'occhio, tra polenta e cotoletta alla milanese. Mi misi a letto. Dovevo essere ben riposato e pronto per la prova che mi attendeva. La sveglia suonò alle sette, un classico per chi lavora a Milano. Subito mi alzai, feci colazione. Mio zio era già pronto per accompagnarmi al colloquio. La tensione bussava alla porta. Non ci avevo pensato molto negli ultimi mesi, preso dalla bellezza di Milano, del Duomo. Ma ero lì per realizzare il mio sogno lavorativo. Non potevo fallire. Fu tutto molto bello e sbrigativo. Lasciai il curriculum e feci una buona impressione ai titolari dell'azienda, che potevano garantirmi l'affiliazione ad una società di informatica.

Milano, la Madonnina
Pronto, finalmente, a visitare la città. Il punto in cui mi trovavo appariva distante da quel Duomo tanto immaginato e sfiorato con gli occhi da bambino. Ogni angolo era pieno di persone in giacca e cravatta in corsa verso metro, orari e destino. Le ammiravo entusiasta, felice di stare solo, in una città che mi piaceva, che mi regalava serenità. Improvvisamente i passi mi portarono lì, davanti al Duomo. Emozione alle stelle! Avevo la sensazione di poter toccare la Madonnina, piccola e distante, con un dito. Era tutto un susseguirsi di scale e scalini, ma non sentivo la fatica. La visita durò mezz'ora, quanto basta per tornare con i piedi per terra.

La vita mi ha riportato a Milano per un'operazione, subita e superata con successo. Destino volle che, uscendo dalla camera d'ospedale, notassi in lontananza la bellissima Madonnina. Tornerò a visitarla tutte le volte che vorrò. Il desiderio è di stabilirmi qui, con il lavoro in una mano e i sogni nell'altra.

domenica 27 gennaio 2013

Scanno, perla d'Abruzzo


di Anna Maria Colonna
annamaria9683@libero.it

Anche la Puglia attende i suoi fiocchi di neve. Sporadici. Semplici come solo questa terra sa essere. Solitari e silenziosi nel rumore assordante delle pietre che sfidano il vento. Il cielo bianco latte mi ricorda le montagne innevate d’Abruzzo. Maestose, immensamente belle. Il mio pensiero torna lì. Un filo sottile unisce le emozioni al respiro profondo di una regione appena sfiorata. Eppure vissuta. In ogni viaggio esiste qualcosa di più importante dei singoli dettagli. È ciò che ti lascia dentro. Che ti fa decidere di tornare. Spesso non si conosce nemmeno che cosa sia. Bastano pochi oggetti. Il primo treno pronto a partire. Ed un bagaglio vuoto e capiente quando le emozioni da conservare sono tante. Troppe.


Lago di Scanno (Aq)
L’acqua era una tavola. Intorno, solo quella brezza leggera che accarezza gli alberi. Le voci dei bambini e delle famiglie facevano eco rimbalzando fra i monti. Il sole continuava a specchiarsi in quel lago. Nudo ed imbevuto di luce. La luce del tramonto senza nuvole. Per un attimo mi sono chiesta se stessi vivendo un sogno. Posti così capita raramente di vederli.



Scanno (Aq)
Scanno (Aq) è una perla adagiata fra le rocce. Il suo nome deriverebbe dal latino scamnum, ovvero sgabello, per la conformazione del centro storico, che sembra poggiare su una panca. O anche dai termini abruzzesi scandalo e scannella, particolare varietà di orzo. A pochi chilometri da Sulmona, Scanno racconta di bellezze e di tradizioni che il tempo è riuscito a preservare. Fra i borghi più belli d’Italia, il paese fonde presente e passato. Passeggiando per il centro storico, è facile riconoscere le cemmause, scale di pietra sorrette da archetti e costruite all’ingresso delle abitazioni. Caratteristico è l’antico abbigliamento femminile, fatto di gonne molto lunghe, che arrivavano a pesare anche oltre i dieci chilogrammi. I vari colori indicavano, probabilmente, i differenti ceti sociali. Il corpetto si allacciava nella parte anteriore, terminando in una sacca a forma di triangolo rovesciato. Curiosi sono anche i cappelli. A renderli originali, i lacci composti da cordoncini, di tonalità diverse a seconda delle occasioni. Una lunga tradizione conserva intatte l’arte del tombolo e l’oreficeria.


Lago di Scanno (Aq), ponticello di legno
Il mio pensiero riannoda quei lacci al lago disteso nell’Alta Valle del fiume Sagittario, fra Scanno e Villalago. Allo scorrere dell’acqua fra pietre levigate dalla natura e piante verde smeraldo. Percorro il ponticello di legno per ritrovarmi davanti ad un gruppo di anatre selvatiche che gioca con i riflessi. È il lago naturale più grande d’Abruzzo, creato da una frana del Monte Genzana. Dal belvedere di Frattura Nuova sembra assumere la forma di un cuore. Non è raro che la sua superficie, nei periodi più freddi, geli completamente. Prospiciente allo specchio d’acqua, sorge la chiesetta dell’Annunziata o della Madonna del Lago, in passato meta di pellegrinaggi per la guarigione da particolari malattie della pelle.

Scanno (Aq), flora
Intreccio ancora un po’ i ricordi per tornare alla realtà. In fondo anche questo è viaggio. Andare indietro nel tempo per rivivere i luoghi. E provare a sentire di nuovo il loro respiro. In attesa del treno. Svuotando i bagagli per prepararli ad accogliere altre emozioni. Mentre la scrittura fissa per sempre quegli attimi. 

Lago di Scanno (Aq) - fauna
Lago di Scanno (Aq) - chiesetta dell'Annunziata
Lago di Scanno (Aq) - chiesetta dell'Annunziata


Il reportage si può leggere anche sul blog di Radio L'Aquila 1.

 Si ringraziano Alessandro Di Nisio e Paesaggi d'Abruzzo.















mercoledì 23 gennaio 2013

Viaggio nel tempo, dall'Argentina una fotografia «italiana» del 1926


La testimonianza di Maria Rosa Infante

di Anna Maria Colonna
annamaria9683@libero.it


Parole in viaggio. Quando la fotografia può smuovere i ricordi, riportandoli indietro, sulle acque dell’oceano Atlantico. Guardo l’immagine in bianco e nero, sembra aver attraversato un’intera vita. Lo ha fatto davvero. È stata scattate nel 1926, prima che i componenti partissero per l’Argentina. Quante storie può racchiudere uno scatto! Quanti legami può ricucire, tessendo e incrociando i fili del tempo e dello spazio!

Maria Rosa Infante
Maria Rosa Infante non era ancora nata. Eppure è lei che racconta. Dall’Argentina. E il nastro del passato si riavvolge… sua madre (la prima a sinistra) si stava affacciando alla finestra del mondo senza conoscerne il futuro. Aveva quindici anni quando la portarono fra le pampas argentine. Il padre, Ottavio Concistoro Di Iulio, era partito qualche anno prima dall’Abruzzo per inseguire il sogno americano. La terra promessa. Faceva il calzolaio e lasciò la famiglia a Casacanditella, in provincia di Chieti, per cercare lavoro altrove. Lotta per la sopravvivenza che spesso richiede di sacrificare gli affetti. 

Non fu semplice allontanarsi dalle montagne italiane per imbarcarsi verso l’ignoto. Inizialmente Filadelfia, negli Stati Uniti. Poi il ritorno in Abruzzo. E la decisione di andare a Firmat (Santa Fe), in Argentina. Prima di ripartire, Ottavio volle portare con sé la fotografia che mi ritrovo fra le mani. E il figlio maggiore, il primo a destra.

«Mia nonna Maria Malandra (al centro dell’immagine, ndr) era incinta del più piccolo», racconta Maria Rosa. «Dopo circa dieci anni, nel 1938, tutta la famiglia si trasferì». Partirono da Genova sul Conte Grande. Alla volta di Buenos Aires. In terza classe. Madre, tre figlie di quindici, diciassette e diciotto anni, due maschi più piccoli. Le tre adolescenti italiane non passavano inosservate a bordo. Attiravano gli sguardi dei giovani di prima e di seconda classe, oltre a quelli dei marinai. Tanto da meritarsi l’appellativo di «stelle marine», dato loro dal capitano. Delicatamente femminili, non sapevano di avere tanti corteggiatori. Sognavano il futuro, disperdendo i loro pensieri nel vento. Mentre si affacciavano al balcone della vita. Sulle acque del mare.

«Ogni volta che guardo l’immagine, penso a quanti sacrifici, all’oceano di distanza… immagino i cuori a pezzi quando si poteva rimanere in contatto solamente con una lettera!». Maria Rosa ha rincontrato la sua terra natale attraverso una fotografia e una ricetta pubblicate su Paesaggi d’Abruzzo. I cagionetti sono stati motivo di lacrime perché lei non ricordava questa bontà, che la madre preparava quando ero piccola. «Un viaje a mi infancia, a la modesta pero cálida e increíble cocina de mi madre. Per un attimo ho avuto la mamma con me! Presto cercherò di farli».

Non importa quanta distanza separi le persone. Come scriveva Antonio Tabucchi, «un luogo non è mai solo “quel” luogo. Quel luogo siamo un po’ anche noi. In qualche modo, senza saperlo, ce lo portavamo dentro e un giorno, per caso, ci siamo arrivati». Scoprendolo. O, anche, ritrovandolo.

domenica 20 gennaio 2013

Ai confini del mondo


di Anna Maria Colonna
annamaria9683@libero.it 

Ai confini del mondo ci sono realtà a cui non sempre viene concessa la parola. La guerra fa notizia, ma si tratta di attimi. Poi tutto torna a tacere. In quei luoghi, nuvole di fumo nero uccidono i colori del cielo. Accade ogni giorno. Solo macerie, distruzione, morte. Il rumore dei colpi di arma da fuoco copre il silenzio della desolazione, unica sopravvissuta alla guerra spietata dell’uomo contro l’uomo. La ragione è stata spazzata via dai kalashnikov, puntati verso una speranza ormai agonizzante. Perché le guerre sono tutte uguali.

Oltre agli spari, in quelle strade fantasma si odono le urla della sofferenza umana. Solo chi ha sentito e visto, solo chi ha sperimentato sulla propria pelle può raccontare. Ma i confini del mondo fanno paura e la verità non è libera. Dietro le guerriglie vive il dolore e muore l’uomo. Di questo si parla poco o non si parla affatto.

Nel 1993 Giorgio Fornoni entra clandestinamente in Angola per incontrare Jonas Savimbi, guerrigliero e politico del partito indipendentista UNITA. Il reporter lombardo, durante la registrazione di un video-documentario, dichiara: «Siamo i primi giornalisti occidentali a registrare le sue parole dopo la ripresa delle ostilità, ad ascoltare una versione dei fatti che capovolge l’informazione distorta e tendenziosa delle fonti cosiddette ufficiali».

Testardo e curioso, Fornoni insegue la verità nelle aree calde del pianeta, dove l’anima si nutre di conflitti e i bambini, loro malgrado, imparano a giocare con le armi. Documenta tutto con filmati e fotografie, ascoltando la voce di chi combatte ogni giorno un’altra guerra, quella contro la sofferenza.

Fra i suoi appunti di viaggio ci sono l’Afghanistan, la Cambogia devastata dai khmer rossi, la Liberia, la Cecenia, il Congo. Russia, Siberia, Africa, Asia, Pakistan, Iran, Kazakistan, Stati Uniti, Centro e Sud America rappresentano sono alcune tappe del suo lungo itinerario. Ma la situazione più «scioccante» Fornoni l’ha vissuta in Texas, davanti all’esecuzione di un condannato a morte attraverso iniezione letale. Quegli ultimi spasmi non potranno più essere dimenticati.

Giorgio Fornoni ha raccolto in un libro dal titolo «Ai confini del mondo» le inchieste e le testimonianze frutto dei suoi viaggi.

E a chi gli chiede informazioni su una passione diventata professione, egli risponde: «Fare il reporter… non è che lo inventi sul momento. C’è tutta una storia che devi maturare in te. Alcuni decenni fa, conoscendo i missionari e seguendo le loro peripezie, ho scoperto situazioni di grande rilievo umano e questa è la cosa che sempre più mi ha appassionato, conducendomi quasi per mano all’uomo, a quell’uomo che vive ai margini e nella sofferenza. Questa cosa, quando ti prende e ti appassiona, non riesci più a mollarla. Tu vedi l’uomo che soffre, non puoi tornare a casa e dimenticarti di quella sofferenza». 

martedì 15 gennaio 2013

Paesaggi d'Abruzzo, una community di 93mila fedelissimi

Intervista all'ideatore, Alessandro Di Nisio

di Anna Maria Colonna
annamaria9683@libero.it

Alessandro Di Nisio
Partire, ma tornare con il pensiero alla propria terra. Sempre. Alessandro Di Nisio, 38 anni, abruzzese di nascita, emiliano d'adozione, nel 2008 ha deciso di promuovere nel mondo la regione d'origine. Tre gli ingredienti fondamentali: passione, informatica e fotografia. Ne è nata una community, Paesaggi d'Abruzzo, che attualmente conta 93mila fedelissimi. Terre Nomadi lo ha intervistato.
 
Chi è Alessandro Di Nisio?
Sono nato a Chieti esattamente 38 anni fa (oggi festeggio il compleanno!). All'età di 18 anni ho lasciato l'Abruzzo per proseguire gli studi a Bologna, dove vivo e lavoro come ingegnere informatico. A 13 anni, con il primo computer, un Philips Msx, ho iniziato a programmare in Basic. Passione, quella per l'informatica, coltivata frequentando l'Itis Luigi di Savoia di Chieti e diventata, poi, professione. Mi ritengo un tipo caparbio, tenace, cerco di realizzare le idee in cui credo con tutte le forze, andando dritto per la mia strada anche quando non trovo riscontro tra amici e conoscenti. Nutro una grande passione per la fotografia, coltivata a livello amatoriale da quando, a 17 anni, mi regalarano una reflex analogica. È diventanta quasi un'«ossessione» con la nascita di Paesaggi d'Abruzzo.

Bologna, quindi Emilia Romagna, e Abruzzo… come mai?
Decisi di andare a Bologna sia per una scelta legata alla facoltà di Ingegneria che per vivere in una realtà diversa. Sono trascorsi 20 anni da quando sono partito e posso dire che è stata un'esperienza che mi ha formato, permettendo il confronto con altre persone. Anche se sto bene a Bologna, mi manca la mia terra. Sarebbe bello tornare, ma in un momento simile non è affatto semplice.

Come nasce Paesaggi d’Abruzzo?
Paesaggi d'Abruzzo nasce dalla nostalgia verso quei luoghi più selvaggi della nostra terra in cui mi rifugiavo quando volevo rigenerare il fisico e la mente. Guardando l'Abruzzo dall'esterno, mi sono reso conto di quanto fosse poco valorizzato e conosciuto. Ho pensato, quindi, di promuoverlo nel mondo attraverso la fotografia e per mezzo dei social network, in particolare di Facebook. Lo ritengo uno strumento potentissimo per condividere le passioni. Così, nel 2008, è nata l'idea di creare una community con cui dare la possibilità a chiunque di raccontare questa regione. Oggi devo dire che molti amici e colleghi si stupiscono guardando le foto di Paesaggi d'Abruzzo. Mi sono anche sentito dire «non sapevo che in Abruzzo ci fossero le montagne». È già un risultato!

Come mai la fotografia?
Ho scelto la fotografia perché è il mezzo più efficace per raccontare, emozionare e trasmettere il desiderio del viaggio. Dal 2008 ad oggi si è affermato il suo ruolo di protagonista all'interno dei social network. Basti pensare alla nascita di Instagram e Pinterest, che possiedono strategie di comunicazione esclusivamente basate sulle immagini. Ogni strategia di marketing territoriale non può prescindere dall'uso della fotografia.

Paesaggi d’Abruzzo e il viaggio. Quale legame?
Paesaggi d'Abruzzo è un viaggio alla scoperta di questa regione attraverso gli occhi degli abruzzesi e di chi la ama. Il mio ruolo è stato di scrivere il canovaccio, ma il merito di aver portato la community in cima alla classifica dei social media, superando i confini nazionali e raggiungendo oltre venti nazioni diverse (su 92.500 fan attuali, circa 12mila ci seguono dall'estero), è delle persone che raccontano - giorno per giorno e attraverso i propri scatti - le emozioni che questa terra regala. Sono loro gli "ambasciatori" del nostro territorio.

Che cosa significa, per te, viaggiare? 
Per me viaggiare significa rallentare, lasciarsi trasportare, osservare ciò che ci circonda con maggiore attenzione ai particolari, ai luoghi, alle persone, alla vita che scorre... viaggiamo ogni volta che guardiamo.

Sei un viaggiatore?
Sì, ho visitato solamente parte dell'Europa (Inghilterra, Spagna, Grecia, Germania, Francia, Svezia), ma se avessi la possibilità, starei perennemente in viaggio!

Quali credi siano i possibili sviluppi del tuo progetto?
Ritengo che la community sia una risorsa per l'Abruzzo perchè 93mila persone non si incontrano per caso, ma per un forte senso di identità. In futuro mi piacerebbe cercare sinergie con le comunità e le aziende locali e rafforzare, quindi, il legame tra il mondo social e quello local. L'obiettivo è di sviluppare iniziative nei nostri borghi tipici, contribuendo, così, anche al rilancio dell'economia locale. Lo so che sono un po' pretenzioso, ma se devo pensare, mi piace farlo in grande!