domenica 26 maggio 2013

Ungaretti, il poeta viaggiatore

di Anna Maria Colonna
annamaria9683@libero.it

Giuseppe Ungaretti
Vita d’un uomo. Così è stata intitolata l’edizione completa e definitiva dei suoi versi, pubblicati nel 1969 da Mondadori. Poesia intrisa di ricordi, fatta a pezzi dal dolore. Urlo straziato e straziante. I versi di Ungaretti esprimono la sensibilità di un poeta e la pena di un uomo segnato dalla guerra e dalla morte. Innamorato della scrittura, l’ha condotta sull’altare del tempo per darla in sposa all’eternità.

Scrittura strappata al silenzio. Parola sussurrata. Parola che non dice, solo allude. Parola che attinge alle fonti dell’assoluto per rivelare il senso nascosto delle cose. Ungaretti traccia sulla pagina ancora bianca della sua storia la poetica dell’attimo. Sentieri ardui, quelli percorsi dal poeta durante la sua esistenza. L’esperienza della guerra gli rivela la precarietà della vita.

La morte, prima del fratello Costantino, poi del figlio Antonietto, strappa all’uomo la sua parte migliore, quella intima, lacerata. È il suo cuore ad essere il paese più straziato. L’inquietudine esistenziale si trasforma in perpetuo girovagare: «In nessuna/parte/di terra/mi posso/accasare… Cerco un paese/innocente».

La sua vita si fa essa stessa viaggio.

Giuseppe Ungaretti nasce nel 1888 ad Alessandria d’Egitto da genitori lucchesi. Nel 1912 si reca a Parigi. Nel 1914 giunge in Italia per partecipare alla guerra. Volontario in un reggimento di fanteria, viene inviato a combattere sul Carso. Alla fine del conflitto è nuovamente a Parigi. Nel 1921 si trasferisce a Roma. Nel 1933 svolge un giro di conferenze in diversi paesi europei.

Nel 1936 è chiamato a ricoprire la cattedra di letteratura italiana presso l’Università di San Paolo in Brasile. Nel 1942 rientra in Italia per insegnare letteratura italiana contemporanea all’Università di Roma. Muore a Milano nella notte fra l’1 e il 2 giugno 1970.

Partenze e ritorni. Ungaretti fugge dai tumulti della sua anima. Parte e scrive. Sempre. Incessantemente. Annota sensazioni, emozioni, impressioni. Affida alla penna ciò che nemmeno la voce può esprimere. Perché la voce, alle volte, non ha la ricchezza delle sue note. Inviato speciale della «Gazzetta del Popolo» di Torino, il poeta, tra il 1931 e il 1934, compie numerosi viaggi in Egitto, in Olanda, in Corsica e in diverse regioni italiane. Frutto di questa esperienza sono i suoi articoli, inizialmente raccolti nel volume intitolato Il povero nella città (1949), poi ne Il deserto e dopo (1961).

Racconti di viaggio sconosciuti quanto la stessa attività giornalistica di Ungaretti. Prose bellissime, liriche, evocative. Esperienze dell’uomo e non del poeta. Proprio per questo trascurate, dimenticate nell’angolo più nascosto di una polverosa biblioteca. Eppure è nella quotidianità dell’uomo che vive il poeta. Le due metà non possono essere distinte. Distinguere significa rifiutare di conoscere e di comprendere. Distinguere significa non rispondere ai perché.

Ungaretti era un uomo, non solo un poeta. Un uomo che nel viaggio cercava di comprendere. Nei suoi viaggi noi dovremmo cercare di comprendere.

La terza parte de Il deserto e dopo s’intitola Mezzogiorno. Le pagine comprese in questa sezione riguardano il Cilento, percorso dall’uomo-poeta nel 1932. Come in una specie di diario, Ungaretti annota. Scrive. Registra il suo stupore. La partenza in macchina da Salerno. Le bufale disperse nel paesaggio campano. La rupe di Agropoli, lastricata di campicelli dall’erba quasi azzurra.

Cilento
Poi, finalmente, il mare, incorniciato dai pini della costa e dagli ulivi della campagna circostante. La vasta distesa azzurra conduce a Velia, la greca Elea. Forte è il desiderio di raggiungere Palinuro, «uno squalo smisurato» le cui grotte sono definite «occhi blu».

Non si può non rimanere affascinati dalla bellezza di tali descrizioni. Noi, uomini girovaghi nel nostro presente, possiamo ripercorrere i passi del poeta viaggiatore attraverso il filo della sua scrittura. Poiché nella sua storia possiamo ritrovare la nostra storia. Quella dell’uomo perennemente in cammino. Quella dell’uomo. Semplicemente quella dell’uomo.

Giuseppe Ungaretti, I fiumi


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