giovedì 31 ottobre 2013

Salento, l'abbraccio dei mari

di Tilde Pomes

Il mare di Leuca © Tilde Pomes
Leuca. È l'ora magica di una mattina d'estate. Un anziano pescatore, Uccio, torrefatto dal sole - di quelli che è ormai raro incontrare - si trova sulla paranza ancorata di fronte ad una cavità rocciosa in un anfratto di costa, e scandaglia a orecchio il mare. «È la grotta mia - grida perché possa sentirlo - grotta del Diavolo la chiamarono!». E tra quelle della Rada per me è la più suggestiva, quella che mi scatena reazioni emotive. Essa nasconde l'imbocco di terra e, dopo diciassette metri, se la percorri tutta in un'atmosfera ciano cobalto, che se lo tocchi ci puoi sentire la durezza, i mari Adriatico e Ionio vengono colti in flagrante mentre confondono le loro acque. 

C'è un punto dei fondali in cui - sostiene Uccio - essi trovano un modo per uscire dall'«incorporamento materiale», cioè - mi spiega - vogliono conoscere se stessi. «Questo posto ha un'anima, signo'. Ogni cosa nel creato sta al posto suo, signo'. Il sole nasce quando deve nascere e così la luna... hai visto che organizzazione? Ma bisogna uscire dallo stato condizionato dalla vita... Gli uomini che ci comandano, i politici - con una parola ve lo posso dire! - devono mettersi la mano sulla coscienza. Almeno quelli che ancora ce l'hanno uno stozzo di coscienza, e per me so' pochi... però loro se ne vengono ancora qua con i loro yacht - e non so da dove li prendono i soldi - con le femmine nude e il Diavolo batte pure le mani e balla. Altro che pizzica pizzica! Tutti i quaranta metri di grotta occupano, signo'».

Il mare di Leuca © Tilde Pomes

Sorrido e annoto. Non solo l'aria sento più sottile qui, anche la mente. Evitando una costruzione - un autentico pugno nello stomaco! - risalgo percorrendo i viottoli che portano verso la strada. Si smarriscono in un cocktail multiforme di terra color zafferano, che si insinua tra il grigio ardesia e la rena finissima di un bianco antico mai visto. Mi rimetto in auto. Altre insenature e ancora altro mare, che occhieggia tra le pale di fichi d'india, di alberi di fichi e cespugli di rosmarino. 

Mi fermo al Ponte del Ciolo. Mi inebrio anche del cielo sublime, carta azzurra sconfinata in cui nuvole torreggianti di un bianco accecante ammiccano alle creste delle onde. È una sinfonia in bianco spumoso, che si rivela allenata a sovrastare mulinelli e guizzate, che un guerreggiante temporale estivo all'improvviso fonde in un misterico grigio-viola. Il cielo si apre in fulminee scudisciate vermiglie, e lo sento giusto, tanto da ammirare la conseguente copula assordante con la Terra. L’uno fruga febbrilmente nell’altra, finché entrambi, nel delirio, assumono un colorito bronzeo con lumeggiature bianche; e, per lo scroscio tumultuoso, vedo le prime fitte di pioggia fendere la sabbia dorata e farne guazzabuglio argenteo di bollicine. 

Mentre sento il profumo, penetro il miracolo: nasce dall'acqua, ora cerulea, la fascia dei colori che si inarca e che li contiene tutti, quelli di questa terra, in una combinazione che in nessun luogo del mondo dicono esista. L'arcobaleno si adagia laddove finisce la terra. Si colora il faro di Santa Maria de finibus terrae. Vibrazioni azzurre e verdi, rosse e gialle, non più groggy, che si liberano in forme sbalorditive. Immagino che, combinandosi, vestano all'unisono tutte le forme della vita nel loro sprofondo di luce: nella Casa Rossa di Noha visitata lo scorso anno grazie ad Antonio Pepe, che  combatteva per farne anche luogo di incontri letterari; nei giardini della villa Meridiana, che un regista avrebbe scelto come location del suo ultimo film e che non rivelo; nei vitigni disubriacati da mani esperte che sono farfalle; nelle chiome cerulee degli ulivi secolari, il cui  frutto è occhio brillante dalle innumerevoli possibilità. 

La gargantuesca sollecitudine del massaro diventa oro colato in un antico frantoio, che lavora come una dentatura macchiata dal tempo, ma forte, energica. I proprietari si vantano di tenere i loro agriturismi di un bianco di calce che è pura luce. Luce che si attenua all'ombra di tende svolazzanti, mentre il giallo del caldo danza e rimbalza sulla pietra leccese o sulla terra rossa, tra melodie metalliche di cicale al sole, nascoste tra fichi verde muschio e neri. Qui tutto rilascia energia creatrice. E non si conosce la solitudine dell'anima perché i Salentini sanno rendere familiare in un senso nuovo il loro mondo che vai a conoscere: in un modo immutato. Uccio lo ha sottolineato. 

Il mare di Leuca © Tilde Pomes
Parcheggio nei pressi della piazza del santuario Santa Maria de finibus terrae. Mentre raggiungo la balconata, soffia una leggera brezza di terra: i fiori rosa dell'oleandro e quelli arancio della lantana, insieme a foglie vizze, rotolano verso il mare e mi fanno sentire un pacificante fruscio quando mi sorpassano. Sono sull'ultimo scoglio di terraferma: i miei occhi rimangono abbagliati dalle pure lunghezze d'onda di luce. E non solo loro, soprattutto la mente.













Colonna sonora: Carlos Nuñez, Mar Adentro







 



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