giovedì 19 dicembre 2013

Biglietto d'auguri per i nostri lettori


Terre Nomadi augura a tutti i suoi lettori serene festività. Il blog riprenderà ad essere aggiornato giovedì 9 gennaio 2014.

Per chi parte, per chi torna... che trovi sulla strada ciò che cerca senza mai dimenticare a casa i sogni.








Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.

I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.

In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
né nell'irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l'anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d'estate siano tanti
quando nei porti - finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d'ogni sorta; più profumi inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.

Sempre devi avere in mente Itaca,
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.

 Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos'altro ti aspetti?
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

Kostantin Kavafis

lunedì 16 dicembre 2013

Milano-Tokyo, 20mila chilometri su quattro ruote


La storia di un giovane videomaker precario che accetta il rischio di mettersi in gioco. Viaggio tra le donne dell’Eurasia.

di Michele Franceschini
mfranceschini.vr@gmail.com

Arriva un momento in cui le cose non girano come tu vorresti. Ti senti parte di un meccanismo che a tratti sai che si incepperà. Fai due respiri, entri da quella porta. La stessa porta che, qualche anno prima, era stata speranza di un sogno e salvezza dalla monotonia di un lavoro che non ti piaceva.

Trattieni il fiato e capisci che è giunto il momento. Dai le dimissioni dallo studio di produzione nel quale hai passato la maggior parte della tua vita negli ultimi anni. Dai le dimissioni e ti senti finalmente libero e pronto a reinventarti in un mondo in continuo cambiamento.

Illusione che, dopo qualche ora, viene infranta da una chiamata ignota a cui non si può dire di no. E già il giorno dopo sei negli uffici della questura per chiedere il passaporto. Una telefonata che mai ti saresti aspettato e che si può riassumere nella parola Eurasia.

Ebbene sì. Dopo neanche un paio d’ore nel mondo dei precari italiani, due ragazze mi chiamano per chiedermi di partire. Una di quelle avventure che ti cambia dentro. Milano-Tokyo in macchina, con scopo benefico. Incontrare donne di tutto il mondo e capirne la reale condizione, tutto spesato e sponsorizzato da grandi brand, come Peugeot e Gazzetta dello sport.

Perché io? il motivo è semplice ed emozionante. Io e la mia telecamera avremmo immortalato ed impresso nel tempo questo percorso di 19.427 chilometri.

Il viaggio è durato due mesi e mezzo, molto di più dentro di me. Innumerevoli volte il paesaggio è mutato mentre inseguivamo la meta. Innumerevoli volte ho ritrovato voci, parole, lingue e armonie diverse. Eppure mi sono sentito sempre a mio agio, immerso in un fluido comune, sotto uno stesso ombrello blu. Lo chiamiamo cielo.

Ho incontrato le Femen in Ucraina, monache e monaci tibetani in terra cinese, le donne conforto in Corea del Sud, una tatuatrice maledetta in Giappone, la ragazza più bella del villaggio in Tagikistan, giovani che, nel deserto roccioso, stavano andando in bicicletta in India. Partendo dalla Germania, ho incontrato... quante anime ho incontrato. Quanti gusti e profumi ho scoperto. Quante volte mi sono incontrato pure io, che da un po’ non vivevo il brivido dell’incertezza nello sconosciuto.

Si viaggiava chiedendo ospitalità, montando la tenda sul ciglio della strada e, nell’impossibilità, prendendo una stanza in un ostello o in un motel di passaggio. Quante cose da rivivere e da raccontare. Quante cose da filmare. 

Colonna sonora: Paper Lions, Travelling


giovedì 12 dicembre 2013

Ca' Scapini, il paese dei bambini perduti

di Anna Maria Colonna
annamaria9683@libero.it

Ca' Scapini (Pr) © Marco Cavallini
L'edera si aggrappa ad un gruzzolo di macerie, tremando ad ogni soffio d'aria. Forse ha paura. Ca' Scapini, il paese dei bambini perduti, è la ghost town dell'Appennino parmense e di Val Toncina. Qui regna il silenzio, interrotto solamente dal lamento lugubre del torrente e da strazianti urla notturne.

Nel villaggio abbandonato, frazione del Comune di Bardi, succedono cose strane ed inspiegabili. Le testimonianze abbondano e gettano sul luogo un'ombra di mistero. Le porte delle abitazioni sono spalancate e sulle finestre ondeggiano le tende della vita passata. Sbiadite dal tempo, annerite dalla polvere.

Ca' Scapini (Pr) © Marco Cavallini

Qualche tavola è ancora apparecchiata, pronta per una riunione di famiglia rimasta sospesa nel vento. Entrando nelle case, la sensazione di solitudine e di tristezza aumenta. I muri imbrattati e vestiti di crepe si sorreggono sulle braccia verdi degli arbusti. Sui sentieri, gli alberi fanno da ombrelli al bucato logoro, steso più di mezzo secolo fa. Bersaglio dei raggi infuocati del sole.



Ca' Scapini (Pr) © Marco Cavallini



Molti giurano di aver visto ombre e sentito pianti di bambini disperdersi tra la fitta vegetazione. Alcune immagini immortalano sfumature che somigliano a corpi, invisibili all'obiettivo della macchina fotografica. Anche i più scettici, pronti a prendere a pugni il timore, raccontano di essere fuggiti - terrorizzati - nel cuore della notte. Le leggende inquietano perché parlano di morte e di dolore.

Si racconta che, negli anni Quaranta, sul sagrato della chiesa del paese, fosse stato trovato il corpo mutilato di una pastorella. La voce corse fra gli abitanti, che incolparono un orso o, addirittura, una strega. Secondo la leggenda, il luogo venne improvvisamente abbandonato.

Ca' Scapini (Pr) © Marco Cavallini
La versione dei fatti più accreditata narra che i tedeschi, durante la seconda guerra mondiale, abbiano ucciso tutti gli abitanti. Sembra che alcuni siano riusciti a fuggire prima dell’incursione omicida. E, ancora, si racconta che i cittadini abbiano lasciato il paese prima dell’arrivo delle truppe dalla Germania, trovatesi, poi, di fronte al vuoto.

Gli inquietanti gemiti dei bambini? Gli anziani del posto tramandano la storia di sette orfanelli - o di sette piccoli ammalati - lasciati soli nel paese dopo la fuga degli abitanti. Fantasia, leggenda, suggestione? La domanda resta senza risposta. Sta di fatto che il paese stregato incanta e spaventa chi prova ad avvicinarsi alle sue case arroccate.

Qui la cronaca di un incubo a Ca’ Scapini.

Le altre fotografie di Marco Cavallini scattate a Ca' Scapini.

Colonna sonora: Paul Abraham Dukas, Sorcerer's Apprentice


Ca' Scapini (Pr) © Marco Cavallini
Ca' Scapini (Pr) © Marco Cavallini
Ca' Scapini (Pr) © Marco Cavallini
Ca' Scapini (Pr) © Marco Cavallini
Ca' Scapini (Pr) © Marco Cavallini
Ca' Scapini (Pr) © Marco Cavallini
Ca' Scapini (Pr) © Marco Cavallini
Ca' Scapini (Pr) © Marco Cavallini





 
















lunedì 9 dicembre 2013

Ser argentinos, nuestra amada nacionalidad

di Maria Rosa Infante


Me piden que cuente sobre nuestra identidad. Sobre aquello que nos identifica: nuestra esencia, lo que define nuestra amada nacionalidad. Es tan difícil y tan fácil a la vez, y aquí vamos con la primera característica: contradictorios. Nosotros argentinos somos contradictorios! Tenemos un alma dual que bebe en una misma copa las alegrías y las tristezas.


Argentina, paesaggi
Somos hijos de un país joven, poco más de 200 años como nación independiente. Herederos de un crisol de razas, donde la inmigración ha dejado una huella indeleble, profunda, inevitable. Muchos de nosotros somos hijos o nietos de italianos (o españoles), las dos corrientes inmigratorias que han prevalecido en su mayoría. Entonces, si bien amamos apasionadamente esta tierra bendita, generosa y extensa (muy), también participamos en la extranjería de nuestros padres. Hemos bajado de los barcos y hemos recibido el legado aborigen, que hoy reivindicamos después de siglos de postergaciones. Es una mixtura apasionante y sanguínea.


Somos venales, apasionados - lo dije sí, pero lo repito -, olvidadizos de nuestra propia historia. Tendemos a cometer una y otra vez los mismos errores históricos sin aprender de ellos. Intolerantes con lo superfluo, demasiado tolerantes y blandos con la corrupción política que nos persigue como una sombra. Solidarios hasta extremos inimaginables, unidos en las vicisitudes cotidianas y en las tragedias sociales.


Dulce de leche
Pecamos de soberbios, creemos a menudo que hemos inventado la solución a cada problema. Amamos el fútbol, los asados, el mate, el dulce de leche, las reuniones familiares, los cafés compartidos con amigos. Nos enorgullecemos de la vastedad de nuestra tierra, un mosaico de paisajes diversos que el mundo de a poco y con la inevitable globalización está conociendo: llanuras inmensas y fértiles, valles luminosos, montañas que quitan el aliento, sierras y arroyos dulces, cataratas únicas que son patrimonio de la humanidad, glaciares azules, Patagonia mística.


Tango argentino
Hemos tenido y tenemos glorias en todas las disciplinas artísticas, en la literatura, en el deporte, en la ciencia. Nos cuesta destacar en grupo, pero individualmente somos una fuente inagotable de talentos en todos los órdenes. Hoy por hoy le hemos dado al mundo un jesuita que es cabeza de la Iglesia y en poco tiempo la está transformando, con su nombre y sus actitudes humildes que evocan al pobrecito de Asís. Estamos hechos del folklore de las provincias y del tango porteño, que nos perfuma de nostalgia (somos irremediablemente nostalgiosos). Amamos la buena mesa, y disfrutamos una cocina que a fuerza de tanta inmigración se ha vuelto cosmopolita y variada. 


El mate
Tenemos la virtud de la hospitalidad, nos encanta recibir gente en casa y haremos lo imposible por homenajearlos y agradarles. Tenemos el defecto de la improvisación, desde nuestros gobernantes hasta el último de los comunes ciudadanos, somos improvisados y actuamos muchas veces sin pensar y por instinto. En la Argentina de los argentinos predomina el sentimiento antes que la racionalidad. Alguien dijo alguna vez que el argentino siente, luego existe, parafraseando a Descartes.


Argentina, paesaggi
El argentino es una persona que muy a su pesar y habiendo sido maltratado políticamente, siente esperanza, siente que aún es posible. Solemos decir que tenemos todo para ser una gran nación, y que fallamos nosotros mismos en el intento de serlo. El argentino está aprendiendo a ser autocrítico, de a poco, y con la intención de corregir sus errores. Ser argentino es irse mil veces del país con el corazón partido por mil crisis políticas y económicas distintas, y volver otras mil a esta tierra que atrae con un magnetismo arrobador. Ser argentino es una aventura maravillosa, es una condición que llena el pecho de orgullo, que hace llorar de emoción ante la vista de un símbolo patrio azul y blanco. Difícil de explicar, mucho más fácil de sentir.




Traduzione di Anna Maria Colonna

Mi chiedono di parlare della nostra identità, di quello che ci identifica: la nostra essenza, ciò che definisce la nostra amata nazionalità. È tanto difficile e tanto facile, alle volte. Mi soffermo sulla prima caratteristica: contradditori. Noi argentini siamo contraddittori! Abbiamo un’anima sdoppiata che beve dalla stessa coppa allegria e tristezza.


Siamo figli di un paese giovane, di poco più di duecento anni come nazione indipendente. Eredi di un crogiuolo di etnie, di cui l’immigrazione ha lasciato una traccia indelebile, profonda, inevitabile. Molti di noi sono figli o nipoti di italiani (o spagnoli), paesi dai quali i flussi migratori hanno abbondato. Allora, se amiamo appassionatamente questa terra benedetta, generosa ed estesa (molto), partecipiamo (con lo stesso amore) a quella straniera dei nostri padri. Siamo scesi dalle barche, ricevendo anche il legame indigeno, che oggi, dopo secoli di dimenticanza, rivendichiamo. È una fusione appassionante e sanguigna.


Siamo venali, appassionati -  l’ho già detto, però lo ripeto - dimentichi della nostra storia. Tendiamo a commettere una o più volte gli stessi errori storici senza imparare da quelli del passato. Intolleranti con il superfluo, troppo tolleranti e morbidi con la corruzione politica, che perseguiamo come un fantasma. Solidali fino agli estremi inimmaginabili, uniti nelle vicissitudini quotidiane e nelle tragedie sociali.


Pecchiamo di superbia, crediamo spesso di avere la soluzione ad ogni problema. Amiamo il calcio, l’arrosto, il mate, il dolce di latte, le riunioni familiari, il caffè condiviso con gli amici. Ci inorgogliamo per la vastità della nostra terra, un mosaico di paesi diversi che il mondo, da poco e con la inevitabile globalizzazione, sta conoscendo: pianure immense e fertili, valli luminose, vette che tolgono il respiro, catene di monti e dolci ruscelli, cascate uniche che sono patrimonio dell’umanità, ghiacciai azzurri, Patagonia mistica.


Abbiamo registrato e continuiamo a registrare glorie in tutte le discipline artistiche, nella letteratura, nello sport, nella scienza. Ci costa distaccarci dal gruppo, ma individualmente siamo una fonte inesauribile di talenti in tutti i campi. Abbiamo dato al mondo un gesuita che è a capo della Chiesa e che la sta trasformando in poco tempo, con il suo nome e con atteggiamenti di umiltà che ricordano il poverello di Assisi. Abbiamo eventi di folklore nelle province e il tango di Buenos Aires, che ci pervade di nostalgia (siamo irrimediabilmente nostalgici). Amiamo il buon cibo e godiamo di una cucina che, a forza di tanti flussi migratori, è diventata cosmopolita e varia.


Possediamo la virtù dell’ospitalità, adoriamo ospitare persone in casa e facciamo il possibile per omaggiarle e per compiacerle. Abbiamo il difetto dell’improvvisazione, siamo improvvisatori, a partire dai nostri politici fino all’ultimo dei comuni cittadini, e agiamo molte volte senza pensare o per istinto. Nell’Argentina degli argentini predomina il cuore sulla ragione. Qualcuno una volta ha detto che l’argentino sente, dunque esiste, parafrasando Cartesio.


L’argentino conta molto su se stesso e, pur essendo stato maltrattato politicamente, sente speranza, sente che qualcosa è ancora possibile. Siamo soliti dire che abbiamo tutto per essere una grande nazione, ma non siamo capaci di trasformare le parole in fatti. L’argentino, da poco, sta imparando ad essere critico con se stesso, con l’intenzione di correggere i suoi errori. Essere argentino è andare via mille volte dal paese con il cuore partito per mille crisi politiche ed economiche diverse, e tornare altre mille in questa terra che attrae con un magnetismo affascinatore. Essere argentino è una avventura meravigliosa, è una condizione che riempie il cuore di orgoglio e di emozione alla vista di un simbolo patrio azzurro e bianco. Difficile da spiegare, molto più facile da sentire.

Colonna sonora: Madonna, Don't cry for me Argentina