giovedì 20 febbraio 2014

Paulownia tomentosa, strane coincidenze

di Luigi Casale
casaleluigi@yahoo.it

Qui la prima parte del reportage.

Paulownia tomentosa
© Luigi Casale
Quell'anno, sul finire dell'estate, di ritorno dalla vacanza in Piemonte, trovammo mia madre alle prese con un problema. Rami di un albero molto rigoglioso, data la stagione, le occupavano il vano della finestra, impedendo alla serranda di srotolarsi. Per la verità, era già stata costretta altre volte a potare l’estremità di quei rami che le ostacolavano, oltre alla vista, lo stesso regolare uso dell'infisso. E ce ne eravamo accorti. La povera donna frequentemente doveva strappare foglie e frasche, più o meno lunghe, per liberarsi dall'invadenza esterna e dall’ulteriore rischio di eventuali danni. Osservato il suo affanno, ci accingemmo ad aiutarla, mia moglie ed io, prima per sollevarla dall'inconveniente, ma anche perché, operando, sarebbe stato più facile tagliare l'estremità dei rami inopportuni, una reggendoli, l’altro strappandoli.

Grande fu lo stupore quando ci accorgemmo che l’albero era della stessa specie di quelli che avevamo conosciuto - o creduto di aver conosciuto - in estate sull’isola di San Giulio. Eppure, con la pianta avevamo condiviso almeno dieci anni, da quando mia madre si era trasferita in quella casa. 
 
Bolzano
La cosa finì lì. Ma non era finita. Alla fine della stagione estiva, nuovi eventi e nuove decisioni ci portarono ad optare per un trasferimento della residenza della famiglia in Alto Adige. Iniziava una nuova fase della nostra vita. Io avevo cambiato lavoro. La famiglia, cambiato abitudini. Fortunatamente i bambini non avevano ancora fatto esperienza di scuola a Roma. Questo trasferimento comportò che, da quell’anno, preferissimo le vacanze al mare, e, per restare più vicini alle nonne, si tornò a Napoli, al mare nostro. La nonna Iolanda, come aveva sempre fatto, continuò a mantenere per noi la cabina, la stessa che ci aveva sempre riservato da quando portava i suoi figli ai bagni di mare. E, così, dalle parti di Omegna non si tornò più.

Ma veniamo alle nuove abitudini, alle quali dovemmo assuefarci, con nostro compiacimento. I bimbi, per quanto piccoli, si recavano a scuola da soli. Alcuni anche in bicicletta. Tralascio gli altri vantaggi, che ci capitò di apprezzare un po’ per volta. Recandomi quotidianamente a Bolzano per motivi di lavoro, notai che tutti gli alberi dei parchi pubblici, e i filari che costeggiano le strade, erano contrassegnati da una targhetta col nome volgare (italiano e tedesco), e il corrispondente nome scientifico, della pianta. Non pensavo tanto alla correttezza amministrativa o al livello di senso civico, ma alla funzione pedagogica verso i ragazzi della scuola e, più ancora, verso la popolazione in genere.


Bressanone
Dopo qualche mese, provai la stessa emozione quando, in visita al museo (ex palazzo vescovile) di Bressanone, lungo l’antico fossato, ci imbattemmo in un magnifico, colossale, albero secolare, identico sia a quelli che avevo visto sull'isola di San Giulio che nel cortile dell’abitazione di mia madre a Pompei. Portava la sua brava targhetta, su cui, insieme alla data dalla quale era documentata la presenza in quel sito, compariva anche il nome della pianta: Paulownia tomentosa. Così ho conosciuto la Paulonia.


Che cosa c’entra questa esperienza con l’attività di sensibilizzazione e di educazione promossa dai naturalisti e dalle civiche amministrazioni? E che cosa ha a che fare il racconto con la cultura?

Io dico che ci serve, innanzitutto, per capire. Nell’uno e nell’altro campo d’azione o di interessi. E mi viene in mente il racconto biblico - cerco di ricordare alla meno peggio - in cui Dio, dopo aver creato il mondo, compresa la coppia umana, chiama Adamo a dare i nomi alle cose. Ecco, quale che sia l’esegesi che ne fanno i dotti, io credo di cogliere proprio questo fatto, cioè che l’uomo è chiamato (da Dio) a sviluppare il linguaggio e ad organizzare il pensiero servendosi delle cose create. In altre parole, attraverso la sua diretta esperienza. Da piccoli, ci insegnavano come questa narrazione rappresenti il dominio dell’uomo sul creato.


Ebbene, sono disposto ad accettare tale spiegazione solamente nel senso di cui ho detto prima: l’uomo, padrone del mondo, sì, ma attraverso il linguaggio e guidato dalla ragione. Partendo dall’ esperienza. 

Colonna sonora: Phil Collins, Another day in paradise




                        


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